Un gruppo di psicologi dell’università di Birmingham ha pubblicato uno studio sulle abitudini a tavola
A chi non è mai capitato di tornare da un pranzo di famiglia o in compagnia di amici sentendosi più appesantiti del dovuto? Secondo un gruppo di psicologi dell’università di Birmingham, che hanno analizzato 42 diversi studi, la colpa non è della così detta “cucina della nonna” ma della nostra storia evolutiva. Se ci ponessimo la domanda “perché mangiamo di più in compagnia?” la risposta cadrebbe sulle abitudini sociali della nostra storia arcaica.
In origine
Lo facevano già i nostri antenati cacciatori-raccoglitori, per i quali era una forma di “assicurazione” contro una caccia andata male: tornare a casa a mani vuote, scoprendo poi che qualcun’altro condividerà il suo cibo era un fortissimo collante sociale, insomma, assicurarsi che tutti avessero qualcosa da “mettere sotto i denti”, e ancor meglio in generose quantità, rasserenava gli animi. Tra l’altro mangiare da soli, quando nessuno può controllare le dosi, è un comportamento da sempre scoraggiato. E anche se oggi le nostre abitudini sono completamente diverse, abbuffarsi in solitudine è ancora considerato sconveniente, mentre la compagnia di amici spinge naturalmente a consumare più cibo, un comportamento definito dagli autori dello studio “social facilitation” come una sorta di “ricompensa collettiva”.
Con gli estranei
Al contrario quando siamo in compagnia di estranei tendiamo a mangiare meno del solito, fateci caso! Secondo l’autrice Helen Ruddock, che sostiene, riferendosi a quest’ultima condotta: “la gente vuole fare buona impressione prendendo porzioni piccole”. L’autrice mette anche in guardia sulle conseguenze del comportamento opposto, nato in un contesto di caccia e rimasto intatto fino a oggi: quando il cibo è abbondante, il rischio è di indulgere in comportamenti poco sani. Insomma quando andiamo ad un pranzo in famiglia dobbiamo essere pronti ad affrontare le nostre antiche origi, che ci porteranno per natura ad abbuffarci in compagnia.